Se redigere la Guida di Trento è stato un atto dovuto, essendovi nato, per questa di Bolzano è un atto d’amore, una concessione all’immaginazione, ai sapori di una città rimasta per lo più medioevale: stretti vicoli, guglie che si lanciano verso l’alto – concorrenti silenziose delle dirimpettaie cime dolomitiche –, meandri delle vie, lucernari che illuminano scale che nascono dalla notte per perdersi nel giorno, pianerottoli, portici, slarghi che sembrano corti dei miracoli, incavi e scantinati. Mai come in questa città, nel suo centro storico, il desiderio del perdersi, del girovagare, dell’esercizio dello scoprire date incise, lacerti di affreschi, frammenti di sculture, tracce di storie, è così forte, impulsivo, difficile da tacitare, facile da assecondare. Le pause poi sono estasianti, il sospendere il tempo che scorre è un imperativo che soggiace alla visita stessa di questa città. Seduti all’aperto, ad un tavolino del centenario Caffè Città, con lo sguardo che insegue le frettolose persone che transitano per piazza Walther o i perdigiorno (suonatori e curiosi, lettori e osservatori) – molti di questi sono in tenuta da montagna per rimarcare lo spirito di questa città alpina – che trovano in questa piazza scenografica il loro ruolo di spettatori, facciamo di questo palcoscenico il luogo privilegiato dove gustare arcaici vini e delicati dolci contadini. Le panchine invitano all’inerzia del corpo stimolando la fantasia della mente, con lo sguardo che si perde all’orizzonte incontrando ad oriente, quando il sole li infuoca, i pinnacoli del Duomo e quelli dolomitici. Città trilingue, tedesco, italiano e ladino – quest’ultimo si sente sussurrare qui assai raramente –, è un luogo dove ci si sente a casa, dove i nostri pensieri più labirintici ed inconsci trovano la cornice giusta per fluire accompagnati da musiche spumeggianti. Lasciamoci quindi sedurre da questa Bolzano.